I caffè più costosi al mondo

Siamo abituati a lamentarci del prezzo del caffè al bar quando lo paghiamo più del solito al bancone, magari perché accompagnato da un bicchierino d’acqua in una location particolarmente chic o quando notiamo che, servito al tavolo da un cameriere in livrea, il prezzo si è alzato notevolmente. Ma solitamente possiamo permetterci la/le nostre tazzine quotidiane.

Esistono però dei caffè decisamente NON alla portata di tutti.

È il caso ad esempio del Kopi Luwak. Prodotto in Indonesia (in indonesiano kopi significa caffè e luwak è lo zibetto delle palme – un mammifero simile alla donnola), racchiude nel nome stesso la sua origine.

L’animaletto in questione è ghiotto di frutti di caffè; mangia le bacche, ma espelle la parte interna più dura praticamente intatta, perché non la digerisce. Questo processo fa perdere al caffè la consistenza amara. I resti della sua defecazione vengono quindi privati degli scarti, lavati e tostati fino a dare origine a un caffè dolce e delicato, che ha un retrogusto di cioccolato, vaniglia, tabacco e liquore alle erbe. La sua origine e il processo di lavorazione ne fanno impennare notevolmente il prezzo, fino a 35 dollari a tazzina.

C’è un aspetto negativo però: gli zibetti vengono sfruttati perché ingeriscano forzatamente grossi quantitativi di bacche, rinchiusi in gabbie piccolissime che fanno gridare al maltrattamento gli animalisti.
Per ovviare a questi problemi è stata realizzata  dai ricercatori della Pingtung University of Technology and Science una versione di caffè Kopi Luwak in laboratorio.

Con il Black Ivory si cambia paese, siamo in Tailandia, e animale, l’elefante. Le bacche di caffè vengono aggiunte al pastone per elefanti a base di riso, banane e tamarindo.
Quando, dopo un lungo processo di digestione (fino a 72 ore), vengono espulse, i chicchi vengono selezionati a mano, lavati ed essiccati al sole.

Solo i migliori, più grossi e con la giusta densità, vengono utilizzati per la successiva tostatura quando raggiungono il livello di umidità ottimale, tanto che per realizzare un chilo di caffè Black Ivory ci vogliono ben 33 chili di chicchi. Il gusto è davvero eccezionale, un misto di note di cacao, spezie e tabacco con retrogusto di ciliegia. Ciò ha fatto lievitare il suo prezzo fino a 85 euro a tazzina. Tale varietà ha anche il beneplacito degli animalisti, perché gli elefanti vivono in buone condizioni e perché una parte del ricavato delle vendite di Black Ivory va alla onlus che si occupa della salvaguardia degli elefanti.

Anche il caffè Geisha è carissimo (1.560 dollari al kg), ma stavolta gli animali non devono “lavorare” nulla. Viene coltivato a Panama, precisamente a Boquete, alle pendici del vulcano Barù, ad altitudini di 1.850 metri; le piante in questione crescono alla giusta ombra degli alberi da frutta (potati occasionalmente ad hoc) e senza pesticidi chimici, perché gli insetti vengono eliminati naturalmente dagli uccelli che se ne cibano. Le bacche, di forma allungata, vengono raccolte dagli indigeni esperti che selezionano solo quelle perfettamente rosse, quindi mature. Ad esse viene tolto il gambo, poi vengono essiccate su un patio finché non raggiungono il 10,5% di umidità. Per realizzare un chilo di caffè Geisha sono necessari addirittura 100 kg di bacche. Chi lo ha assaggiato assicura che la consistenza cremosa ricorda lo yogurt, mentre il gusto, corposo e ricco di note floreali e fruttate – nocciole, gelsomino, mirtilli, mandarino e bergamotto -, è stato addirittura definito come “il volto di Dio in tazza“.

È stato però lanciato l’allarme dagli ambientalisti per il disboscamento delle foreste dalla zona del vulcano Barù per far spazio alle piantagioni di caffè.

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